Il paese di Gragnola è situato nella piana alluvionale dei torrenti Lucido e Aulella. Il suo toponimo sembra avere origine dal commercio del grano sviluppatosi nel paese in epoca medioevale. Il borgo è immerso nel verde della Lunigiana a due passi dalle Alpi Apuane e dalla Garfagnana.
GRAGNOLA E IL CASTELLO DELL’AQUILA
DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO
PREFAZIONE
Cio’ che nelle pagine che seguono il lettore trovera’, rappresenta la sintesi di una ricerca durata circa due anni. Molti sicuramente piu’ titolati ed eminenti hanno approfondito la storia lunigianese, ma tuttavia nessuno sino ad ora, aveva affrontato una ricerca specifica e mirata sulle vicende di Gragnola e del Castello dell’Aquila, dalle origini, al medioevo, fino al rinascimento. Questo e’ stato il motivo che mi ha spinto a ricercare, riunire e valutare tutte quelle notizie che potevano definire la storia non solo di Gragnola e del suo Castello, ma la storia di un’intera comunita’ tra le valli del Lucido e dell’Aulella. Oggi questo territorio si trova a margine dei principali centri economici e culturali, ma in passato e’ stato al centro della storia e della cultura. Parlare di Gragnola significa parlare di un popolo, il popolo Lunigianese, che trae le sue origini da molto lontano, partendo da quei misteriosi uomini che gia’ in epoca preistorica conoscevano le stelle, adoravano la luna e ci lasciarono come monito e testimonianza di se le celebri e misteriose “Statue Stele”, scomparendo poi misteriosamente e lasciando il posto al popolo dei Liguri-Apuani, dei Romani, dei Longobardi, dei Malaspina fino a giungere ai giorni nostri.
Potrebbe sembrare anacronistico parlare, nel secolo di internet e della globalizzazione, della storia di un paese, Gragnola, che conta poco piu’ di seicento abitanti e che sulle carte geografiche rappresenta semplicemente una frazione del Comune di Fivizzano, ma a mio avviso, al di la dell’amore che io provo per questa terra e che mi ha spinto a compiere tale ricerca, ritengo che la nostra storia, la nostra cultura, e le nostre radici dovrebbero essere tenute maggiormente in considerazione, soprattutto oggi, proprio per non dimenticare che cosa la Lunigiana e’ stata nel suo passato, ed al fine di comprendere ed impernearne proprio il suo futuro sul quel grande patrimonio storico, culturale e paesaggistico che questa terra offre.
Dedico questa mia ricerca su Gragnola, terra tra le valli del Lucido e dell’Aulella, alla gente di Lunigiana, ed in particolare a mio padre che ha saputo infondermi l’amore per quella che oggi piu’ che mai sarebbe importante considerare come “ la nostra terra”.
Giovanni Junior POLESCHI

GRAGNOLA
STRUTTURA E SVILUPPO ARCHITETTONICO
Il paese di Gragnola è situato nel piano alluvionale generato dal torrente Lucido e dal torrente Aulella, è quindi un insediamento di fondovalle. Si è sviluppato come florido centro di commercio mercantile soprattutto in epoca madioevale. Il toponimo stesso “Gragnola” sembra trarre origine dal commercio del grano che ivi in epoca medioevale aveva trovato un mercanto molto sviluppato.
E’ degna di nota, a suffragio dell’ipotesi dell’importanza delle granaglie e di un loro intenso commercio presente nella zona, come riportato in alcuni testi, la presenza, tuttavia mai confermata da ritrovamenti archeologici, di un mulino ad acqua proprio nella valle del Lucido, che potrebbe risalire anche all’epoca tardo imperiale romana. Tale ipotesi e’ comunque suffragata dal fatto che l’invenzione del mulino ad acqua (Marc BLOCH “avvento e conquiste del mulino ad acqua”) risale al periodo antecedente alla nascita di Cristo e fu introdotto anche nell’Italia in epoca Romana, compresa la Val di Magra ed in generale la Lunigiana, dove tuttavia ebbe effettiva e testimoniata diffusione in epoca medioevale, come viene confermato dalla presenza, attestata da un documento del 1259, di un mulino idraulico sul torrente Bardine, affluente dell’Aulella di proprieta’ dei “nobiles Actocanes de Bibula”.
La presenza di molti altri mulini, nella zona, (non e’ tuttavia chiaro se fossero azionati da animali o sfruttassero la forza idraulica) e’ confermata da un atto, contenuto nel codice Pelavicino (Lupo Gentile) con il quale l’imperatore Ottone I, nel 963, dava riconferma al Vescovo di Luni dei privilegi concessi dai suoi predecessori, nel quale atto vengono citati anche i “molendinis”(mugnai). In seguito esistono notizie certe e conferme archeologiche di vari mulini ad acqua costruiti lungo i principali corsi d’acqua lunigianesi. Si ha quindi la conferma dell’importanza del commercio del grano e dei suoi derivati, che rappresento’ certamente per la Lunigiana ed anche per Gragnola, in epoca medioevale, la principale risorsa economica.
La vera origine e la datazione della fondazione del paese risulta tuttavia abbastanza misteriosa e in un certo modo anche atipica rispetto alle tipologie d’insediamento lunigianesi, soprattutto se consideriamo alcuni elementi quali la vicinanza al Castello dell’Aquila, che pur sovrastando il paese, tuttavia non ha dato luogo, come al contrario è successo nella maggior parte della Lunigiana, ad uno sviluppo contiguo del paese ed alla conseguente inglobazione del Castello nel centro abitato (Verrucola, Terrarossa, Bagnone, Viano, Casola, Soliera, Fosdinovo, ecc.). Altro elemento da considerare, è la vicinanza ad una serie di località caratterizzate da toponimi di probabile origine ligure (cà, corte, vico, pago): Cortila, Ca’ brusà, Cà di Marchetto, Pago, che comunque non hanno nulla a che fare con il toponimo Gragnola, costringendoci quindi a scartarne l’eventuale origine. Deve essere parimenti esclusa l’origine longobarda dell’insediamento, in quanto posto in fondovalle e non in altitudine come invece risulta tipico degli insediamenti lunigianesi di tale origine. Da queste considerazioni se ne potrebbe ipotizzare un origine romana, e forse Gragnola potrebbe essere stato l’antico “Forum Clodii” la cui ubicazione non è mai stata definita con precisione (le ipotesi oltre a Gragnola riguardano Castelnuovo, Piazza al Serchio e Fivizzano). Tale insediamento era quasi con certezza ubicato lungo la via Clodia che giungeva fino a Lucca, e proprio dal Forum Clodi, si diramavano altre due strade: in una direzione attraverso i Carpinelli, Fivizzano, Licciana ed il passo dei Linari giungeva a Parma, ed in una seconda diramazione giungeva fino a Luni (passando probabilmente per Minucciano, Pieve di S. Lorenzo, Codiponte, Casciana, Equi, Monzone, Colognola, Viano e Cecina) purtroppo rimaniamo in un campo puramente ipotetico, poichè ad ora nessun ritrovamento archeologico può suffragare tale ipotesi. L’unico dato accertato e’ la ricchezza e l’importanza che questo insediamento rivesti’ in epoca romana come centro mercantile della Lunigiana.
Le prime notizie certe dell’esistenza di Gragnola si hanno sotto il dominio dei Bianchi di Erberia essendo stati ritrovati numerosi atti celebrati in “Foro Gragnolae” risalenti proprio a quest’epoca.
Il nucleo del paese sembra svilupparsi attorno al proprio borgo ed alla chiesa di S. Ippolito e Cassiano. Le abitazioni piu’ antiche, da una prima analisi della tipologia costruttiva, sembrano risalire al 1200 – 1300.
Il grande sviluppo di Gragnola come borgo e centro commerciale si ebbe in epoca tarda attorno al 1400, in concomitanza all’ascesa al potere della famiglia dei Malaspina e del consolidamento dei loro centri politici ed economici in questa parte della Lunigiana; ciò è testimoniato dalla presenza di numerose botteghe distribuite all’interno del paese, soprattutto nella via Borgo Lucido, e dalla fattura di alcuni palazzi nei quali si ritrovano elementi caratteristici come finestre bifore con colonne marmoree e bellissimi portali in macigno finemente lavorati che testimoniano la presenza di famiglie molto agiate o comunque facoltose. (Qua di seguito alcuni esempi di finestre bifore e monofore presenti nelle abitazioni più caratteristiche del Borgo)
Altro elemento molto importante al fine di inquadrare e valutare Gragnola ed il suo sviluppo in epoca medioevale, è dato dalla presenza di numerose “corti interne” e caravan serragli. Ciò dimostra inequivocabilmente che Gragnola fu un centro di passaggio molto frequentato, nel quale potevano essere ospitati ed alloggiati mercanti, pellegrini con relative masserizie e bestiame. (Di seguito alcuni esempi di portali in macigno presenti nelle abitazioni più caratteristiche del Borgo)
La struttura del paese sembra aver mantenuto abbastanza fedelmente la sua impronta originaria, definita e documentata abbastanza minuziosamente, per la prima volta, nel secondo rapporto del censimento che nel 1639 il Granduca di Toscana commissionò al fine di avere un resoconto dettagliato sui propri possedimenti. In tale atto

Gragnola viene descritta come segue: “è posta in piano, lungo il fiume Aulella, è circondata da mura con tre porte, ha strade ben diritte e buoni casamenti, faceva fuochi (unità abitative) 33 e abitanti 200”. Analizzando minuziosamente le notizie riportate in questo documento, possiamo fare alcune interessanti considerazioni: Gragnola era terra murata e ciò è tuttora testimoniato dalla presenza dei resti più o meno conservati delle mura stesse lungo tutto il perimetro del paese (costituendo un ideale rettangolo), ad esclusione del lato (sud) verso Monzone, dove la funzione difensiva era assicurata dalle abitazioni stesse poste a difesa del borgo. Da evidenziare la presenza in discreto stato di conservazione dei resti di una torre posta all’angolo nord-est della cinta muraria verso il fiume Aulella, a rappresentare quindi l’estremo punto difensivo verso la valle dell’Aulella.
Il fatto poi che Gragnola fosse descritta come costruita lungo il fiume Aulella e non lungo il torrente Lucido come oggi appare, può derivare o da un errore topografico oppure, se consideriamo veritiero quanto affermato nella descrizione del documento succitato, possiamo darvi giustificazione considerando che, dal 1639 ad oggi Gragnola ha subito due eventi molto importanti, oltre agli innumerevoli terremoti ed alle esondazioni fluviali, che ne hanno incontestabilmente condizionato la struttura ed il moderno sviluppo architettonico, ovvero la costruzione della ferrovia e della strada provinciale che hanno obbligato a mettere in sicurezza con terrapieni e mura di contenimento il fiume Aulella modificandone in parte l’alveo originale, che probabilmente sarebbe passato dove ora sorge la parte del paese di più recente costruzione, nella zona di piazza Gioco. Ciò potrebbe altresì essere avvalorato anche dal fatto che tale zona risulta completamente esterna all’antica cinta muraria. Per quanto riguarda le strade “ben diritte”, tuttora le strade sembrano ricalcare la traccia viaria originale, escludendo soltanto la zona della strada provinciale in direzione Monzone che dall’incrocio con via Borgo Lucido e Via Castel dell’Aquila non esisteva, ma esisteva solo nella parte interna al paese con il toponimo di “via Piazzuolo” fino alla presunta porta sud del paese posta ad una trentina di metri dall’incrocio con via S.Nicola. L’altra delle tre porte citate sicuramente era ubicata in direzione Ovest verso l’abitato di Cortila, posta alla fine di via Borgo Lucido, prima del ponte che attraversa l’omonimo torrente. Per quanto riguarda l’ubicazione della terza porta, potrebbe essere stata posizionata in direzione est, verso il Castello dell’Aquila sulla via di comunicazione con il castello stesso e l’alta valle dell’Aulella, che in passato giaceva sul lato opposto del torrente Aulella, rispetto all’attuale ss.445, lungo le pendici della collina dove sorge il Castello dell’Aquila.
Per completare le considerazioni architettoniche su Gragnola, possiamo fare riferimento ad alcuni elementi particolari che si ritrovano in quella che oggi è definita come via del Fosso.

Da una valutazione approfondita, sembra prendere valore l’ipotesi che in questa zona, la quota del terreno, fosse piu’ bassa di almeno due o tre metri e cio’ è testimoniato dalla presenza di volte semi riempite da detriti ma ancora ben identificabili ed almeno due portali affogati ora nel terreno ma ben riconoscibili e visibili nelle mura perimetrali delle abitazioni di questa zona.

Lo stesso ponte sul torrente Lucido, viste le sue proporzioni avrebbe avuto le campate molto più alte delle attuali, soprattutto confrontandolo con un altro ponte sito in localita’ Pian di Molino (lungo l’antica via di comunicazione che da Gragnola risaliva la valle del Lucido) del tutto simile nella tipologia costruttiva ma con la campata alta circa venti metri, rispetto al ponte di Gragnola che risulta ora affogato nel letto del torrente.
Queste considerazioni, vengono avvalorate oltre che dal ricordo della memoria popolare (soprattutto per quanto riguarda l’altezza delle campate del ponte), dalla considerazione che Gragnola come tutta la Lunigiana è ed è stata una zona altamente sismica ed eventuali terremoti in epoche passate, uniti alle frequenti esondazioni dei corsi d’acqua(valutando un periodo di tempo di circa 1000 anni) avrebbero potuto portare a ricostruire gli edifici danneggiati sui resti e le macerie dei precedenti insediamenti resi inagibili, risultando per questioni di funzionalità e di pratica, molto più facile livellare il terreno più in alto anzi che liberarlo dai ruderi per tornare alle quote originali. Da tenere in considerazione sarebbe inoltre il toponimo “Fosso” che indubbiamente trae origine da fossato, e non sarebbe quindi da escludere un eventuale presenza di un corso d’acqua interno alle mura, forse una gora per un mulino o semplicemente un canale per lo scolo delle acque provenienti dalla collina del Castello dell’Aquila, naturalmente tali considerazioni dovranno essere ulteriormente approfondite soprattutto da valutazioni di carattere prettamente architettonico.
Altro elemento degno di nota, che tuttavia mantiene le considerazioni su un piano puramente ipotetico, è costituito dalla presunta presenza di una Casa Torre ubicata nella zona Sud del paese, proprio dove le case fungono da cinta difensiva, lungo la via borgo Lucido; questa ipotesi per ora è suffragata soltanto da ciò che appare in un affresco risalente al XVIII secolo ove in un bellissimo scorcio del paese visto dalla zona detta della Bandita (da Nord a Sud) oltre alla torre campanaria, si riconosce facilmente un’altra costruzione molto elevata e chiaramente riconoscibile come una torre.
In ultimo non puo’ non essere segnalata la presenza di una fontana in marmo, di bella fattura, e per certi versi unica nel territorio locale, denominata “cannonzin d’argento”, posta nel centro del borgo e risalente al 1647 come viene evidenziato dalla notazione apposta in una bellissima lapide marmorea ” IACOBVS MALASPINA FOSDENOVO MARCHIO, POST ADEPTAM GRAGNOLA POSSESSIONEM, COMMODITATI PVBLICA EXTRVCTO FONTE, CONSVLVIT. A. DNI. MDCXLVII. INTER AQVAS PHOENIX, IACOBI MUNERE SVLVAS DESERO, ET EXVRGENS, FONS REDIVIVVS ERO. ” che attualmente risulta mutilata nella sua parte superiore che presumibilmente era completata dallo stemma araldico della famiglia malaspina del ramo dello spino fiorito (probabilmente dall’arme di Iacopo Marchese di Fosdinovo che governò Gragnola, Castel dell’Aquila, Cortila e Viano, incorporandoli nel proprio feudo dal 23 marzo dell’anno 1645) come risulta dalla presenza nella parte superiore della stessa di una porzione dello stemma originario e nella fattispecie le tre radici che normalmente costituiscono la terminazione inferiore degli stemmi malaspiniani.
Giovanni Junior POLESCHI
FORUM GRAGNOLAE ET CASTRUM AGUILLE
(LA STORIA – DAI PRIMI DOCUMENTI AL RINASCIMENTO)
La storiografia classica, identifica nel bacino del Mediterraneo il luogo ove la storia stessa e la cultura europea hanno avuto origine. La penisola italiana, idealmente al centro del Mediterraneo, non poteva non essere il luogo ed il teatro ideale ove potessero avere origine e svilupparsi i più importanti movimenti culturali.
La Lunigiana occupa all’interno della penisola italiana una particolare posizione geografica, una pseudo-regione, tra Toscana, Liguria, ed Emilia che pur essendo una terra di passaggio, o di confine, come da molti è poi stata definita, ha mantenuto una propria identità storica ed ha sviluppato una propria cultura e proprie tradizioni. L’unicità del popolo lunigianese, è da ricercarsi proprio nelle sue origini ovvero nel sincretismo delle diverse culture e delle diverse usanze dei popoli e delle etnie che nel corso della storia la hanno attraversata, o in ogni caso vi hanno esercitato potere.
La storia politica sociale ed economica della Lunigiana è stata per forza di cose, condizionata e determinata dalla sua configurazione e dalla sua disposizione geografica all’interno del territorio peninsulare, ed in particolare nel Medioevo tale situazione risultò fondamentale per la sua stessa evoluzione.
Attraverso le sue montagne, lungo le sue valli ed i corsi dei suoi torrenti, si districavano importantissime vie di comunicazione che, dall’epoca romana, e per tutto il medioevo, hanno costituito per centinaia di anni il più importante collegamento tra i paesi d’oltralpe (Francia, Germania, Austria) e la penisola italiana con particolare riferimento al collegamento con la valle Padana, la Liguria, la Toscana e la stessa Roma.
Queste strade gia’ in epoca romana furono di notevole importanza, molte delle quali erano lastricate (stratae) o inghiaiate (glareatae); le piu’ note e trafficate furono la via Aurelia, la Lucca-Luni e la Lucca–Parma (via Clodia) con le loro varie diramazioni che solcavano gia’ in tale epoca gran parte della Lunigiana.
Questa favorevole posizione strategica diede alla Lunigiana un’immensa importanza, rendendola un bottino desiderabile da tutti i suoi confinanti (Pisani, Genovesi, Lombardi, Lucchesi e Fiorentini).
Per questo motivo, la Lunigiana attraverso i suoi valichi appenninici fu un vero e proprio crocevia di uomini, merci, denari, e milizie.
Gia’ in epoca romana, anche se le notizie sono molto poche e poco chiare, viene testimoniata la presenza di insediamenti molto importanti. Oltre alla citta’ ed al porto di Luni, si parla inoltre di una localita’ “Forum Clodi”, come gia’ precedentemente enunciato, la quale ubicazione precisa non e’ tuttavia confermata, ma che certamente risultava essere un importante centro di commercio tra le zone del litorale e l’entroterra, alcuni studiosi ritengono, tra le varie ipotesi, che addirittura potesse trovarsi lungo le valli del Lucido o dell’Aulella e cio’ potrebbe poi trovare una ipotetica conferma nel notevole sviluppo che in epoca medioevale ebbe il “Forum Gragnolae” ed il suo mercato, importante soprattutto per il commercio del grano, del sale, e l’artigianato, con interessanti e significative testimonianze di ferraioli, fabbri, e falegnami.
Le valli del Lucido e dell’Aulella, trovandosi morfologicamente al centro del territorio, furono quindi e in epoca romana, come precedentemente accennato, e in epoca medioevale con i loro borghi murati, i Castelli e Fortilizi, testimoni e teatro della storia lunigianese.
Il borgo di Gragnola, posto nel piano alluvionale originato dai torrenti Lucido ed Aulella, ed il Castello dell’Aquila ad esso sovrastante, giacciono all’incrocio delle omonime valli, e risultarono per ciò importantissimi strategicamente ed economicamente per chi poteva vantarne il possesso.
Detto cio’ passiamo a considerare il Castello dell’Aquila, il cui toponimo non ha tuttora una chiara origine, e ciò risulterebbe di particolare interesse se fosse definito, soprattutto per determinarne l’epoca di fondazione. A mio avviso sarebbe da scartare l’origine toponomastica legata alla parola latina aquila, uccello rapace, ma piuttosto potrebbe esserne invece valutata l’origine collegata al cognome romano della gens Aquilia, ma tuttavia tali valutazioni restano solo ipotesi poiche’ un eventuale origine romana dovrebbe essere suffragata da ritrovamenti archeologici che allo stato attuale non trovano alcun riscontro.
Il Castello dell’Aquila è un imponente struttura fortificata, arroccato su una collina tra le valli del Lucido e dell’Aulella. Fu forse edificato da antichi nobili locali tra il IX ed il X secolo, e forse fu costruito nelle vicinanze di un insediamento piu’ antico, forse di epoca romana, tuttavia i primi documenti in cui risulta nominato tale ”Castrum” risalgono a circa la metà del 1300.
Nel corso dei secoli la sua struttura architettonica venne continuamente modificata ed integrata; tuttora si possono distinguere le quattro torri a base quadrata e parte del grande torrione inglobati ora in un’unica costruzione.
(i resti del torrione prima del definitivo crollo)
Possiamo solo ipotizzare che anche il Castello dell’Aquila come il borgo di Gragnola, del quale invece troviamo chiara menzione, fosse proprietà, o quantomeno sotto il dominio, della famiglia dei Bianchi di Erberia.
Ciò risulta documentato da vari atti celebrati in “Foro Gragnolae” da parte del “Podestà” delle “Terre Blancorum” risalenti ai secoli 1200 e 1300.
![Stembia200[1]](https://i0.wp.com/ilborgomatto.altervista.org/borgomatto/wp-content/uploads/2011/07/Stembia2001.gif?resize=200%2C213)
Per entrare a pieno titolo all’interno delle vicende che hanno caratterizzato Gragnola ed il Castello dell’Aquila, risulterà ora necessario definire e dare una connotazione, quanto meno di carattere generale, alla Famiglia Bianchi di Erberia, soprattutto con riferimento ai loro possedimenti Lunigianesi avendo avuto su gran parte di questo territorio, per più di due secoli, influenza o in ogni modo forti e radicali interessi.
Il territorio sul quale i Bianchi esercitarono la propria influenza, può essere definito partendo dalla riva destra del torrente Bardine, che scorrendo tra Cecina e Marciaso trova nel paese di Viano una vera roccaforte ed un possente centro fortificato, giungendo poi fino alle pendici delle Alpi Apuane passando da Vinca, proseguendo fino a Regnano e lambendo la Verrrucola e l’attuale Fivizzano da cui seguendo il corso del torrente Rosaro giungeva fino a Soliera.
All’interno di questo territorio troviamo quindi a pieno titolo anche Gragnola e per antonomasia, possiamo solo ipotizzare, poiché non esiste nessun documento ove venisse, in effetti, menzionato, il Castel dell’Aquila.

La consorteria dei Bianchi e’ da considerarsi tra le più nobili ed importanti famiglie sulle quali la diocesi di Luni ebbe sudditanza.
Il cognome di Erberia sembra abbia origine dal fatto che tale famiglia era detentrice di alcuni feudi situati nella zona dell’attuale Rubiera, che nei documenti medioevali veniva chiamata con il toponimo di Herberia.
Già da 1188, con Guido del fu Gerardo Bianco, la famiglia dei Bianchi di Erberia risultava avere un organizzazione chiara, definibile come “Podesteria” retta appunto da un “Podestà” rigorosamente appartenente ad uno dei vari rami della famiglia tra i quali era scelto a turno. Il capoluogo della podesteria era il paese di Gragnola.
Il primo documento che attesti la presenza dei Bianchi di Erberia in Lunigiana risale alla metà del XI secolo, circa nell’anno 1055 se consideriamo appartenente a tale famiglia Rodolfo di Casola, il quale promettendo Fedeltà ed alleanza al Vescovo di Luni contro tutti eccetto che contro Beatrice di Toscana ed il proprio figlio, diede anche la propria disponibilità ad incastellare, mantenere e proteggere la collina ove era la Pieve di Soliera, ottenendola quindi in possedimento.
Per quanto riguarda Rodolfo da Casola, non si ha alcuna testimonianza di documenti che ne definiscano l’origine, ma si conoscono al contrario i nomi di alcuni suoi discendenti, come Guido, Uguccione, e Gerardo. Questi suoi nipoti sono nominati assieme ai figli di Boso, (nei quali vengono identificati i Bosi della Verrucola) poiché nell’anno 1105 si presentarono innanzi al Cardinale Bernardo per riferire che la chiesa di S. Michele del Monte (Monte dei Bianchi), di cui essi tenevano il patronato, era rimasta in abbandono e, pertanto chiedevano che fosse restituita ad statum ordinis monarchorum (ad un ordine religioso). Questo fatto risulta di estremo interesse, poiche da ciò si può dedurre che i Bianchi di Erberia siano proprio i discendenti di Rodolfo da Casola.
Ai fini di una valutazione globale, e soprattutto per inquadrare il periodo storico, la situazione sociale e territoriale in cui si trovò la consorteria dei Bianchi, risulta molto interessante considerarne e valutarne i rapporti con il “Vescovato di Luni”.
Tali rapporti non sempre sono chiari e di facile lettura. Troviamo talvolta accordi di collaborazione ed addirittura rapporti di condominiato su vari castelli.
Sarà proprio questo intreccio di poteri e competenze a dare luogo a frequenti liti, che spesso sfociarono in vere e proprie guerre, che rappresentarono poi la caratteristica principale dei rapporti tra i vari Dominus ed il potere Vescovile.
Già nel 1214 con l’atto di sottomissione che, di fatto, relegò i Bianchi in una posizione di pseudo-vassallaggio nei confronti del vescovo di Luni, sottoscritto il 26 Febbraio da Bernardino e Palmerino figli del fu Guido di Erberia e da Enrico Bianco del fu Arduino di Erberia da una parte e Mazzucco Vescovo di Luni dall’altra, vengono messi in evidenza ed esemplificati tali rapporti.
Troviamo in questo documento l’espressione della volontà politica del Vescovo di Luni, mirata ad un’espansione egemonica sulla Lunigiana, volta alla costituzione di un vero e proprio principato ecclesiastico. Con tale atto, infatti, gli Erberia cedevano al Vescovo di Luni omnes suas munitiones, menia et castra que et quas habebant ab alpibus citra versus epiacopatum lunensem, cioè tutti i loro possedimenti impegnandosi inoltre a difendere se necessario i territori e i possedimenti sul quale il Vescovo di Luni aveva giurisdizione.
La famiglia dei Bianchi rimase tuttavia sottomessa al vescovato di Luni solo a livello pressoché teorico, giacché poté agire in quasi completa autonomia fino a tutta la seconda meta del XIII secolo.
Possiamo comprendere quindi come la Lunigiana rimase frammentata e divisa tra varie famiglie o addirittura tra diversi rami di una stessa. Non esistendo mai un vero e proprio controllo omogeneo sul territorio, non riuscì ad ottenere uno sviluppo organico neppure per i centri già urbanizzati.
Il vescovato di Luni, e la famiglia dei Malaspina tentarono di dare alla Lunigiana un’organizzazione unitaria, ma sia i primi sia i secondi non riuscirono mai nel loro intento.
Le cause vanno ricercate nello scarso ed ineffabile potere che i vari dominus riuscirono concretamente a esercitare, e ciò fu determinato sia dall’inettitudine degli amministratori, sia dalle frequenti liti per interessi privati tra i membri di una stessa consorteria, sia, e ciò rappresenta la motivazione principale, dalla stessa situazione morfologica del territorio e della distribuzione sullo stesso dei centri urbani e dei castrum principali, dando luogo a nicchie e sacche di potere difficilmente convertibili e conglobabili in un contesto unitario.
Torniamo ora alla famiglia dei Bianchi d’Erberia, i quali come già detto, agirono in quasi completa autonomia mantenendo il loro potere fino alla seconda meta del XIII secolo, quando attorno al 1275 molti dei loro possedimenti furono ceduti, in maniera tuttavia non del tutto chiara, alla famiglia dei Malaspina del ramo di Filattiera.
Da questo momento il potere dei Bianchi andò gradualmente dissipandosi fino a che la famiglia stessa fece perdere le proprie tracce già circa a metà del 1300, quando anche l’antica roccaforte di Viano risultava essere sotto il dominio di Spinetta Malaspina.
Dopo aver affrontato questo lungo excursus, torniamo alle specifiche vicende di Gragnola e del Castello dell’Aquila, per i quali non risulta chiaro se anch’essi rientrassero tra gli acquisti fatti da parte dei Malaspina di Filattiera, di cui si è prima parlato, ma certo è che il castello e le sue sudditanze passarono a Spinetta “Il Grande” nel periodo che coincise con la sua espansione in gran parte dalla Lunigiana orientale, ovvero dal 1327 circa al 1352 data delle sua morte.
Il documento ove viene menzionato per la prima volta il nome di “Castello dell’Aquila” è il testamento del Marchese Antonio del fu Guglielmo Malaspina di Fosdinovo dell’anno 1374 nel quale viene riportato un lascito di dieci fiorini a favore del “portinaio” di questo castello.
La famiglia dei Malaspina ebbe origine da un ramo degli Obertenghi, discendenti cioè da Oberto nominato Conte di Luni nel 945 dall’Imperatore Ottone I (per i servigi resigli nella guerra contro Berengario II nel 961, in tale occasione ottenne inoltre la facolta’ di battere moneta) e Marchese di Liguria nel 951.
Tale “marca” fu istituita dall’Imperatore Ottone I allo scopo di difendere i propri domini dai Saraceni.
Gli Obertenghi sembrano discendere da un probabile superstite della famiglia dei Marchesi di Toscana combattuta e distrutta da Ugo re d’Italia. Lo studioso Baudi di Vesme risali’ sino a Suppone duca di Spoleto nell’anno 814 e sostenne che alla stirpe dei Supponidi appartennero anche i Conti di Arezzo, i Marchesi di S. Maria, i Conti di Lavagna ed i Visconti di Genova.
Alla morte di Oberto gli furono successori i suoi due figli Adalberto ed Oberto II.
Dal primo (Adalberto) dopo successive diramazioni, discesero i Palodi Marchesi di Massa, i Pelavicino, i Marchesi di Massa-Corsica, i Marchesi di Gavi ed i Cavalcabo; dal secondo (Oberto II) discesero gli Estensi, i Brunswich ed i Malaspina.
Il primo ad apparire con il nome di Malaspina fu Alberto II, come risulta da un atto del 1124 dove si fa riferimento ad una divisione di beni avvenuta nel X secolo fra gli Obertenghi. Fu quindi proprio da Alberto II che provenne la stirpe di quei Malaspina che per secoli dominarono, nel bene e nel male, l’intera Lunigiana.
I Malaspina ottennero ufficialmente l’investitura ed i possessi in Lunigiana, dell’Imperatore Federico Barbarossa, già dal 1164 con diploma del 29 Settembre. Furono tuttavia gli Estensi che per primi ebbero il predominio sulla Lunigiana e lo tennero in pratica fino al 1202, quando avendo consolidato il loro potere ed avendo trovato maggiori fortune altrove, cedettero ai Malaspina i loro diritti e domini. Deve poi essere annotato che la fascia costiera non entrò a far parte dei possessi Malaspiniani poiché fu concessa dall’Imperatore Ottone II, nella parte orientale, ai Marchesi di Massa, e nella parte occidentale, ai Vescovi di Luni.
La Lunigiana geografica risultò quindi politicamente ed amministrativamente, fin dall’inizio inizio, suddivisa in almeno tre diverse zone.
Conseguentemente a questa situazione, non esistendo veri e precisi confini tra Marchesi e Vescovi, ed arrogandosi gli uni i diritti degli altri, scaturirono liti, conflitti e vere e proprie guerre che costituirono la base della storia politica Lunigianese.
La sorte della “marca” dei Malaspina come quella di tutte le altre famiglie legate alle leggi e tradizioni Longobarde, che imponevano la successione e divisione dei beni tra tutti i maschi legittimi, fu segnata sul nascere, portando come conseguenza diretta una naturale disgregazione del potere tra più persone, che nel corso delle generazioni trasformò i Malaspina in semplici Signori Feudali.

La più grande divisione tra i Malaspina avvenne con concordato a Parma nell’anno 1221 il 24 Agosto e fu il risultato della nuova situazione storico-comunale dell’intera parte settentrionale della nostra penisola.
Tale divisione distinse i Malaspina tra “Spino Secco” e “Spino Fiorito”. A Corrado figlio di Obizzone, toccano i possedimenti alla destra del fiume Magra: Mulazzo, Villafranca, Giovagallo, Tresana, Lusuolo, Godano (Spino Secco); a Obizzino toccarono i possedimenti alla sinistra del fiume Magra: Olivola, Verrucola, Gragnola, Rocca Sigillina, Castiglione del Terziere, Malgrate, Bagnone, Treschietto, (Spinto Fiorito). Questa divisione, venne ritenuta sia da Corrado e sia da Obizzino, come un’importante mossa politica, in quanto mentre Corrado (Spino Secco) si dichiarò ghibellino, al contempo Obizzino (spino fiorito) si dichiarò guelfo, dando modo ad entrambi di poter gestire molto meglio i rapporti con i loro confinanti e, ove possibile trarne vantaggio.
In seguito, dopo questa grande divisione, se ne ebbero altre, anch’esse comunque di notevole spessore politico, le quali, ai fini di una migliore comprensione e descrizione del panorama Lunigianese nei secoli XII e XIII meritano menzione.
Nel 1266 i Malaspina dello Spino Secco, successori di Corrado, si divisero in quattro piccoli feudi: Mulazzo, Giovagallo, Val di Trebbia e Villafranca, ma di essi non andremo a trattare oltre.
Nel 1275 anche alla sinistra del Magra (Spino Fiorito) si ebbe una divisione che in sostanza tripartì il vecchio feudo di Obizzino dando origine ai feudi di: Filattiera (con annessi Bagnone, Treschietto, Iera, Collesino, Corvarola, e Castiglione del Terziere); Olivola (con annessi Aulla, Terrarossa, Bigliolo, Pallerone, Virgoletta, Monti, Licciana, Agnino, Bastia, Groppo S.Pietro, Varano, Fornoli, Comano); Fivizzano-Verrucola, retto da Gabriele ed Azzolino figli di Isnardo (comprendente tutti i possedimenti in Castiglione delle Ginestre, in Fivizzano, nella Verrucola e nelle Terre dei Bianchi, tra cui presumibilmente, anche il Castello dell’Aquila e Gragnola). Da notare che nella Verrucola i Malaspina avevano soltanto alcuni diritti ed esercitavano il loro potere in condominiato con le famiglie dei Castello e dei Dallo (discendenti dai Bosi, antichi signori della Verrucola, ed appartenenti alla stessa stirpe dei Bianchi di Erberia). Dai Castello prese vita la Terra, poi città di Fivizzano, che inizialmente ne era stato il borgo ed il mercato con il toponimo di Forum Verrucolae.
Verso la fine del 1200, troviamo all’interno della Lunigiana una nuova potenza, che tentava di espandersi, e contrastava, di fatto, la volontà egemonizzatrice del Vescovato di Luni e dei Malaspina, il Comune di Lucca.
La spinta lucchese sulla Lunigiana, risultò così forte al punto che praticamente ne ebbero il quasi totale controllo, riuscendo ad acquistare all’interno dei feudi Malaspiniani vari territori e inviandovi un gran numero di funzionari, così che, i vicari, i notai, i giudici, ed i podestà, della Lunigiana dell’epoca risultano essere quasi tutti Lucchesi.
Questo tipo di politica, Lucca, la adotto anche nei confronti del vescovato lunense, riuscendo a ridurre lo stesso ad un semplice feudo del Comune lucchese.
La prova della volontà e della forza di penetrazione lucchese si ebbe in concreto nel 1299 quando Bucello, Simonello, Saladdo ed altri nobili appartenenti all’antica famiglia dei Dallo concessero al Comune lucchese la fortezza della Verrucola, la relativa corte e con essa altri villaggi e terreni all’interno del feudo malaspiniano (il Castello di Camporaghena, la villa di Torsana, il fortilizio di Montale, il castello e fortilizio di Montefiore con la terra ed il Comune di Rensa, con la terra e fortezza di Ghiddino del fu messer Subboglione). Parimenti il Comune lucchese restitui’ a titolo di feudo le suddette terre acquistate obbligando a prestare giuramento di fedeltà al comune stesso che si obbligava a difenderli contro chiunque.
Ciò fu la causa scatenante della guerra che vide contrapposti in Marchese Azzolino e Lucca.
I lucchesi riuscirono ad occupare il Castello di Castiglione delle Ginestre e costrinsero il Marchese Azzolino a rifugiarsi all’interno della fortezza della Verrucola e patteggiare con gli aggressori, i quali al termine della contesa riuscirono comunque a mantenere i privilegi ottenuti dai Signori di Dallo.
Sorte analoga toccò anche al feudo di Fosdinovo, e la situazione rimase pressoché invariata fino al 1310 con la venuta in Italia dell’Imperatore Arrigo VII il quale solo, riuscì ad evitare che Lucca conquistasse tutta la Lunigiana. In tale occasione il Marchese Spinetta della Verrucola, per ottenere i favori e l’appoggio dell’imperatore Arrigo VII, cambiò le proprie convinzioni politiche da guelfe in ghibelline. Ponendosi al servizio dell’imperatore, Spinetta riuscì a recuperare il castello della Verrucola l’otto Aprile del 1312, ma durante gli anni seguenti, fino al 1327, venne assediato, ripreso e perduto, con una vera e propria guerra combattuta tra Spinetta stesso e Castruccio Castracani. E solo al termine della contesa, Spinetta, riuscì ad unificare sotto di se tutta la Lunigiana Orientale.
Torniamo ora a Gragnola ed al suo castello. Come citato in precedenza, la prima notizia del Castello dell’Aquila si ebbe nel testamento del Marchese Antonio, dopo la morte del quale, il Castrum e tutte le sue sudditanze (Lorano, Gassano, Gallona, Colognola, Monte dei Bianchi, Vezzanello, Pian di Molino, Corsano, Tenerano, Isolano, Monzone, Vinca, Equi, Aiola, Ugliano, Montefiore, Artigliano, Codiponte , Sercognano) passarono come legittime a Leonardo del fu Galeotto, essendo con il fratello Spinetta gli unici eredi rimasti dello stesso Antonio e dei marchesi Guglielmo, Galeotto e Gabriele. Tal divisione venne ufficializzata il 7 Febbraio del 1393 nella città di Pavia.
Per quanto riguarda il marchese Leonardo ed i suoi trascorsi, dalle molte notizie che ci sono pervenute, possiamo ricordarlo come valoroso soldato e mirabile uomo d’arme. Alla giovane età di venticinque anni, dal 1386 al 1387, fu prima Capitano di Guerra e in seguito Senatore presso il comune di Siena. Nel 1387 fu tra i più valorosi che, al seguito di Giovan-Galeazzo Visconti, entrarono a Verona e scacciarono gli Scaligeri, dando in questo modo riscatto ad una personale vendetta nei loro confronti, essendo stato dagli stessi, nel 1381, bandito e scacciato da Verona. Nel 1396 fu alla testa delle milizie Pisane, insieme ad Alberico Conte da Barbiano, nella guerra contro Lucca.
Quando al principe Giovan-Galeazzo Visconti succedette il figlio Giovan-Maria, Leonardo ottenne ancor più considerazione ed ebbe modo di dimostrare il proprio valore in più di un’occasione, soprattutto quando assieme a Facino Cane fu comandato ed inviato alla difesa di Bologna, riuscendo a scacciare le milizie pontificie che dalle mura erano riuscite ad irrompere nella città, e questa azione, come viene riportata in maniera quasi leggendaria dal Branchi, venne condotta con tale impeto che, “tagliati a pezzi quelli che erano entrati”, dissuasero ulteriori irruzioni.
Il Marchese Leonardo fu in seguito inviato come difensore, allo scopo di curare gli interessi dei Visconti, in varie città, tra le quali Vicenza, Cividale, Feltro e Padova per poi tornare nuovamente a Bologna e difenderla dall’ulteriore assedio dell’esercito pontificio e dell’alleato Marchese d’Este, ed ivi trovò la morte il 13 Luglio del 1403 all’età di 41 anni circa. Le sue spoglie furono seppellite, con tutti gli onori riservati ad un grande condottiero, nella chiesa di S.Domenico.
A causa della sua dedizione alle armi, il Marchese Leonardo non ebbe mai a che interessarsi dei possessi Lunigianesi, i quali furono lasciati in custodia a vicari e vicedomini, dei quali tuttavia non esiste alcuna menzione o alcun documento che ne ricordi l’attività, lasciando quindi un vuoto temporale di una decina d’anni sulle vicende del Castello dell’Aquila e dell’annessa Marca.
Alla sua morte, lasciò come erede il figlio primogenito Leonardo II che poiché minore di età ebbe come tutrice ed amministratrice la madre Caterina figlia di Bertrando Rossi Conte di San Secondo di Parma. Oltre a Leonardo II lascio’ altri tre figli legittimi citati in testamento: Galeotto, Bianca e Caterina e due illegittimi Antonio e Argentina, i quali tuttavia non vengono nominati nel testamento.
I voleri testamentari nei confronti di Leonardo II non furono mai rispettati, poiché l’investitura nei suoi confronti non venne mai ufficializzata, ma anzi i diritti feudali sul Castel dell’Aquila, passarono ad entrambi i figli maschi Leonardo II e Galeotto, i quali li ottennero in eguale misura, anche se in effetti il Marchese Galeotto non fu quasi mai presente in Lunigiana restando quasi sempre a Venezia e Verona.
I loro domini ereditati, furono nel 1412 incrementati dai possedimenti dei Marchesi di Olivola che diedero estinzione al primo ramo della loro discendenza. Per questo motivo Pallerone, Bigliolo e Magliano entrarono nei possedimenti di Castel dell’Aquila.
Unico atto ufficiale del loro governo su Castel dell’Aquila, fu un insieme di leggi chiamate “Statuto” pubblicate il 22 Gennaio del 1410 con l’approvazione della Università e Corte di Gragnola, del quale sappiamo che era composto da 167 capitoli dei quali i primi 35 riguardano l’elezione del “Vicario, del Massaro, dei Sindaci dei soprastanti , dei Consiglieri, e dei Consoli”, con annessi i loro doveri e le loro attribuzioni. Non si hanno tuttavia notizie più dettagliate.
Essi governarono il proprio Feudo di comune accordo, ma la loro politica ed il loro operato sarà ricordato soprattutto per la loro crudeltà e per il loro desiderio di espansione che non risparmio’ neppure i propri consanguinei, giungendo al punto di far trucidale, da parte di alcuni bravi, l’intera famiglia dei Marchesi di Verrucola e Fivizzano allo scopo di impadronirsi del loro Feudo. In tale vicenda, da attribuirsi principalmente a Leonardo (proprio per il suo carattere ambizioso e la sua educazione ottenuta alla corte dei Visconti), perpetrata nel Giugno del 1418, vennero uccisi tutti gli appartenenti alla famiglia dei Marchesi della Verrucola, tra cui il vecchio Marchese Niccolo’, il figlio Bartolomeo e sua moglie, incinta, ed alcuni loro figli in giovane età, risparmiando, per rapirla, la giovane Giovanna allo scopo di darla in sposa a Galeotto cosi’ da avere il pretesto per occupare legalmente il feudo fivizzanese. Tale matrimonio avrebbe dovuto svolgersi come sancito e stabilito tra i vari patti interni agli accordi del 7 settembre 1415 che definivano la pace tra i vari rami della famiglia Malaspina che fu sottoscritto tra gi altri dallo stesso marchese Niccolo’ della Verrucola. Per quale causa poi questo matrimonio non ando’ a buon fine, non e’ dato saperlo ma sicuramente cio’ indusse Leonardo e Galeotto a compiere il rapimento di Giovanna e la conseguente strage dei Marchesi di Verrucola.
A questa scellerata azione, rimase miracolosamente superstite il giovane fratello di Giovanna di nome Spinetta, nei confronti del quale la Repubblica Fiorentina conosciuti i fatti, prese le difese.
Firenze, non poté esimersi da prenderne le difese, in quanto con atto pubblico del 6 Settembre del 1404 il Marchese Nicolo’ della Verrucola, dopo le bellicose vicende occorse nei confronti dei Visconti, fu costretto a porsi sotto la protezione fiorentina.
In seguito a queste vicende, gli usurpatori dimostrandosi indifferenti alle intimazioni fiorentine, mosse nella persona di Felice Brancacci, che a tal scopo giunse in Lunigiana, vennero costretti con la forza a restituire tutti i possedimenti ed i territori che avevano usurpato ed inoltre quelli che legittimamente avevano ottenuto . In tale occasione la Repubblica fiorentina invio un vero e proprio esercito costituito da circa 1200 fanti e da un nerbo di cavalleria, con alla testa il sopraccitato Federico Brancacci, che in breve occupo i castelli ed i possedimenti di Leonardo e Galeotto, compresi quelli che lecitamente reggevano compreso lo stesso Castello dell’Aquila, messo sotto assedio, costringendo gli stessi Marchesi a rifugiarsi altrove, forse in alcuni loro possedimenti in Lombardia.
Per aver affrontato questa campagna militare, il Comune fiorentino tenne come debito di guerra, prendendone la diretta amministrazione, vari terreni e possedimenti: Vinca, Monzone, Ajola, Equi, Sercognano, Codiponte, Prato Alebbio e Cassana (Casciana).
Altri possedimenti vennero altresì concessi al Marchese Antonio Alberico di Fosdinovo il quale aveva dato ausilio ed appoggio all’esercito fiorentino: Tenerano, Ugliano, Ghisolano (Isolano), Viano, Gassano, Olivola, Pallerone, e Bigliolo; lo stesso ottenne poi in moglie Giovanna, a causa della quale sarebbe stato compiuto l’eccidio.
Al fanciullo superstite, Marchese Spinetta di Verrucola, che sotto la protezione fiorentina fu inviato alla pratica delle armi, vennero restituiti i possedimenti usurpati compresi Ormeta (Rometta) e Magliano.
Tale situazione rimase sostanzialmente invariata fino al 1423, anno in cui Leonardo II e Galeotto tornarono in possesso dei loro domini, proprio per concessione della stessa repubblica fiorentina che precedentemente glieli tolse, con la quale, il 15 Febbraio stipularono nuovamente la vecchia alleanza, che fu poi riconfermata anche nel 1428 il 7 Maggio, alleanza di durata decennale.
La restituzione del Feudo di Castel dell’Aquila ai Marchesi Leonardo II e Galeotto, avvenne presumibilmente poiché al 1423 la Repubblica fiorentina si ritenne soddisfatta degli introiti ottenuti durante il periodo di governo dichiarando pertanto estinto il debito di guerra. Tutto ciò parrebbe alquanto strano, ma non dobbiamo dimenticare che la situazione politica dell’epoca era alquanto intricata e la lotta tra partito Guelfo e Ghibellino era sempre aspra, e per questo motivo gli interessi fiorentini nella Lunigiana erano estremamente forti, per cui era di primaria importanza, per la repubblica stessa, mantenere per quanto possibile la pace e possibilmente la propria influenza su tutti i feudatari Lunigianesi, considerando inoltre che prima dell’eccidio della Verrucola, sia il Castel dell’Aquila che il Feudo della Verrucola erano entrambi sotto la protezione ed in rapporto di vassallaggio con Firenze.
Altro fatto di rilievo accaduto durante il dominio di Leonardo II e Galeotto, che evidenzia ulteriormente la loro politica restrittiva e talvolta scellerata nei confronti dei propri sudditi, avvenne nel 1438, quando il piccolo Comune di Vinca il 12 Agosto chiese ed ottenne di sottoporsi direttamente al controllo fiorentino proprio per sfuggire alla “dominazio” oppressiva del Castel dell’Aquila.
Leonardo II sposo’ Ginevra figlia del fu Bernabo’ Visconti, Signore di Milano, ebbe una sola figlia di nome Argentina la quale sposo Giorgio Marchese del Carretto. Leonardo II mori nel 1441 lasciando il feudo al fratello Galeotto. Il Marchese Galeotto come gia’ detto visse gran parte della propria vita nella città di Venezia ove sposo’ Samaritana, figlia di Francesco Foscari, dalla quale ebbe come unica figlia Isabetta (Elisabetta) che poi sposo in prime nozze Pietro d’Andrea Mauroceno (Morosini), e in seconde nozze Marco di Natale Donato. Dopo la morte della moglie Samaritana nel 1426, Galeotto contrasse matrimonio con una seconda donna, Mattea di Francesco Bevilacqua di Verona, dalla quale ebbe quattro figlie: Bianca che fu sposa di Gabriele Malaspina Marchese di Fosdinovo, Paola che mori in giovane età, Caterina che sposo’ Lazzaro il Marchese Malaspina figlio di Antonio Alberico di Fosdinovo, il quale divenne poi Marchese di Castel dell’Aqila, e Iacopa, della quale tuttavia non si hanno chiare notizie.
Galeotto mori’ infermo a Venezia ove il 26 Ottobre del 1443 detto’ il suo ultimo testamento al notaio Ser Pasio di Prosdocimo de Bertapalla di Padova. Le sue spoglie furono sepolte, come da voleri testamentari, nella chiesa di S.Giovanni Batista del Sacco di Verona ove doveva essere eretta in onore suo e del padre un’arca, lasciando a tal fine “duorum quiquaginta auri” ed il possesso di alcuni terreni con il reddito dei quali poter mantenere un sacerdote.
Alla moglie Mattea lascio’ 2500 ducati e tutti gli ori e gioielli in suo possesso, lascio’ ordine inoltre di liberare ed affrancare le schiave che per dieci anni presso di lei avevano prestato servizio, o venissero pagate con 25 ducati ciascuna se non fosse trascorso questo periodo al momento della sua morte.
Il Feudo e tutti i restanti possedimenti furono lasciati in eredita’ alle cinque figlie. In tal modo, dopo la sua morte, avvenuta presumibilmente dopo pochi anni dal succitato testamento, il Castel dell’Aquila passo’ al Marchese Antonio Alberico di Fosdinovo, il quale morto nel 1445 lo lascio’, indiviso, ai figli Bartolomeo, Iacopo, Lazzaro, Gabriele, Spinetta, Francesco e Taddeo-Nicolo, i quali lo tennero assieme agli altri domini paterni, in comitato fino al 1462-63, anni in cui morirono, senza discendenza, Taddeo-Nicolo e Bartolomeo.
Alla morte di Taddeo-Nicolo’ e Bartolomeo, le proprieta’ furono divise ed il Castel dell’Aquila, con le sue pertinenze (Gragnola, Casola ed i rispettivi villaggi, rocche e castelli ad essi annessi) ed inoltre la quarta parte dei beni posseduti in Verona, Vicenza, Lunigiana e Toscana, furono dati a Leonardo III e per lui, in quanto minore venne nominato come curatore ed amministratore lo zio Gabriele.
Con Leonardo III, Castel dell’Aquila passo’ quindi sotto la dominazione del secondo ramo di Fosdinovo. Il marchese Leonardo III e’ ricordato, come riporta il Branchi, di carattere generoso e battagliero, ma rimase tuttavia ossequioso e subordinato verso la madre ed il curatore suo zio, il marchese Gabriele. Mantenne questo atteggiamento anche quando raggiunse la maggiore eta’, a tal punto che anche la moglie ebbe occasione di criticarne il comportamento, lamentandosi piu’ volte con la sorella di come egli non avrebbe mai fatto nulla senza l’esplicita compiacenza della madre.
Dopo la morte nel 1478 del Marchese Spinetta di Verrucola, Leonardo III, forse sotto l’influenza dello zio Gabriele, reclamo’ in qualita’ di presunto erede, nel 1481, alla Repubblica Fiorentina, la proprietà del Feudo della Verrucola (alla quale era stato lasciato in eredita’ dallo stesso Spinetta), e pur avendone il possesso di una parte e la relativa Commissaria dalla Repubblica fiorentina, si ribello alla Repubblica stessa nel 1494 in occasione del passaggio in Italia di Carlo VIII il quale tuttavia, dopo breve tempo, abbandono’ Leonardo alla merce’ di Firenze, la qual Repubblica per vendetta spoglio’ Leonardo di tutti i suoi possedimenti compresa Gragnola, che quindi nell’autunno del 1495 risultava nelle mani fiorentine. Soltanto piu’ tardi Gragnola torno’ a Leonardo III. Al Capitanato di Fivizzano come conquista di guerra venne restituito, Lusignano, Castiglioncello, Regnano, Ponzanello e Monte de’ Bianchi.
Leonardo, come gia’ detto, fu influenzato molto dallo zio Gabriele e dalla madre, ai quali, in pratica, lascio’ la guida del Feudo, a causa soprattutto di vari affari privati e campagne militari che spesso lo portarono lontano dalla Lunigiana vedendolo prioritariamente in quel di Verona.
Del Marchese Leonardo III, e’ molto importante ricordare il legame che lo strinse a Firenze e soprattutto a Lorenzo de’ Medici, avendone in moglie, fino al 1476, la cognata Aurante Orsini, vedova di Giovan-Lodovivo Pio Signore di Carpi, decapitato a Ferrara nel 1469.

Con questo matrimonio, Leonardo III oltre a legarsi a Lorenzo de’ Medici, si trovo’ ad essere lo zio del Papa Leone X. Leonardo concluse la propria vita a Verona dove il 28 Giugno del 1505 al cospetto del notaio Angelo fu Giorgio Sismondi di S. Giorgio di Verona, detto’ il suo ultimo testamento. Con questo testamento, Leonardo lascio’ in parti uguali i propri beni a tutti i figli maschi.
Leonardo alla sua morte lascio’ , Lazzaro, Giovanni, Iacopo, Galeotto, Teodosia e Maddalena. Teodosia si sposo’ con il Marchese Lorenzo di Gabriele Malaspina di Fosdinovo, Maddalena si sposo’ con il Marchese Spinetta figlio dell’omonimo Marchese Malaspina della Bastia.
Per volere di Leonardo III, come gia’ detto, il Feudo di Castel dell’Aquila fu ereditato in egual misura dai quattro figli maschi. Il primogenito Lazzaro mori’ poco dopo il padre e di lui quindi non rimangono molte notizie. I restanti tre figli, Giovanni, Iacopo, e Galeotto, mantennero e il feudo per molti anni in condominio.
Uno dei primi atti che riguardano il “triunvirato” di Giovanni, Iacopo e Galeotto, fu’ l’accomandiglia stipulata con la Repubblica fiorentina il 15 febbraio 1523, di durata decennale. Oltre al normale carattere di accomandiglia, veniva sancito che se i tre fratelli fossero incorsi in lite o avessero tra loro contrasti, venissero riconosciuti come competenti giudici, gli “Otto di Pratica di Firenze”, sancendo nei confronti della Repubblica una sorta di sottomissione o vassallaggio che di norma sarebbe stata di competenza solo dell’Imperatore.
Pur avendo stipulato questa accomandiglia, Firenze non vi mantenne fede, negando l’aiuto al Feudo di Castel dell’Aquila in occasione della venuta in Lunigiana nell’estate del 1524 di Giovanni de’ Medici detto “delle Bande Nere” con al seguito 1200 cavalieri al soldo del Re di Francia. Tale diniego da parte dei fiorentini, costo’ a Castel dell’Aquila 2500 scudi d’oro da pagare a Giovanni delle Bande Nere per evitarne gli assalti e quindi la medesima fine di altri Marchesi Malaspina ai quali vennero occupati e distrutti vari castelli.
L’investitura Imperiale del Feudo ai Marchesi Galeotto, Giovanni e Iacopo, fu concessa da Carlo V nel 26 agosto dell’anno 1529.
Morto in giovane eta’ il primogenito Lazzaro, il Marchese Galeotto, secondogenito di Leonardo, segui’ il padre nelle pratiche militari, ottenendo presso la Repubblica Fiorentina incarichi di rilievo.
Ebbe in sposa Isabella di Giovanni Maggi e visse in Lunigiana la propria gioventu’ e gli ultimi anni della vita, trascorrendo il restante periodo a Verona. Mori’ a Viano nel 1545, ucciso da un tal Pierino di Petrognano e da un tal Corallino da Silano, forse su mandato, addirittura, del fratello Iacopo. Lascio’ due figli, Leona che fu moglie di tal Capitan Beghino, e Corrado il quale fu erede unico.
Il Marchese Giovanni trascorse gran parte della propria vita lontano dalla Lunigiana, soprattutto a Verona dove fu Capo dell’Accademia Filarmonica. Lascio’ la gestione del Feudo ai fratelli, dai quali pretese soltanto le rendite economiche. Sposo’ Teodorina figlia del Marchese Tommaso Malaspina di Villafranca. Fu padre di due maschi, Leonardo e Leone, e di cinque femmine, Caterina, Clarice, Taddea, Teodorina, Mattea, e Laura (illegittima). I figli maschi Leonardo e Leone, tennero gli studi a Padova dal 1520 al 1530. Leonardo si laureo’ in giurisprudenza e dopo aver esercitato,per qualche tempo, l’incarico di tutore, assieme allo zio Iacopo, del Marchese Giovan-Spinetta di Villafranca, si diede alla religione diventando Canonico Regolare del Divin Salvatore in Roma, ove dedicandosi agli studi letterari, scrisse un testo degno di menzione intitolato:”Leonardi Malaspinae in aepistolas M.Tulli Ciceronis ad Atticum Brutum et Q. fratrem commendationes ac suspiciones”che fu stampato a Venezia nel 1564.
Leone, il secondo maschio, fu ben poco considerato dal padre, al punto che nel suo testamento del 14 aprile del 1543, lo diseredo’ lasciandogli soltanto una pensione.
Per quanto riguarda le cinque figlie, Caterina sposo’, con una dote di 1000 ducati, il Marchese Morello Malaspina di Mulazzo, Clarice sposo’ Domenico Bonaventura di Francesco Martelli, Taddea sposo’ Giovan-Battista da Rizzolo o de’ Selvatico di Piacenza, Mattea sposo’ Scipione Fra Castoro di Verona, Laura sposo’ Niccolo’ fu Antonio Olivieri di Monti e Teodorina divenne suora nel monastero di S.Giuseppe in Verona.
Il 06 agosto del 1544, il Marchese Giovanni, riconobbe la legittimazione dei figli naturali del fratello Iacopo, Lepido e Ottavio, lasciando a loro in eredita’ tutto cio’ che a lui ed ai propri eredi sarebbe spettato. Il Marchese Giovanni trovo’ la morte a Verona nell’anno 1550. Alla sua morte i propri diritti feudali passarono al figlio Leone.
Ultimo figlio maschio di Leonardo III fu’ Iacopo. Egli si diede alla vita eclesiastica diventando sacerdote e gravitando attorno al Papa Leone X del quale era cugino. Ottenne dallo stesso Papa il Protonotaro Apostolico e la Rettoria della Chiesa di Monte de’ Bianchi.
A causa dei suoi eccessi e della vita dissoluta che, anche se uomo di chiesa, conducesse, non pote’ divenire Cardinale, ed anzi, attorno al 1520, dovette addirittura abbandonare l’Urbe per ritirarsi in Lunigiana.
Prese dimora nel Castel dell’Aquila curandone egli stesso la gestione, ed ottenendone in affitto anche la terza parte spettante al fratello Giovanni. Gesti’ cosi’ accuratamente le entrate del feudo, anche per conto del fratello, che per riconoscenza dello stesso, nel 1544 gli riconobbe come legittimi i figli naturali Lepido e Ottavio e ad essi fece dono della propria parte di eredita’.
Iacopo oltre a Lepido, avuto attorno all’anno 1515 da una monaca (questa fu una delle cause per le quali dovette lasciare Roma), e Ottavio, avuto da una contadina (coniugata), ebbe anche una femmina Zenobia, della quale la maternita’ tuttavia ci e’ sconosciuta.
Iacopo, come gia’ detto, curo’ in particolar modo la gestione economica del Feudo, ma rischio’ di perderne i diritti dimenticandosi di farsi rinnovare l’investitura, come la prassi prevedeva, quando all’Imperatore Carlo V succedette Ferdinando I.
Iacopo e i fratelli ottennero, dopo varie suppliche, la nuova investitura con diploma di Ferdinando I il 3 gennaio del 1529.
Di notevole importanza furono gli Statuti che Iacopo assieme al nipote Leone, figlio di Giovanni, commissionarono al dottore in legge Messer Matteo Toccoli di Cremona. Tali Statuti vennero pubblicati il 28 Aprile del 1543 e sostanzialmente ricalcarono con alcune modifiche i vecchi Statuti del 1410 che fino ad allora erano rimasti in vigore.
Iacopo tento’ varie volte di far legittimare i propri figli, sia dall’Imperatore che dal Gran Duca di Toscana, il quale per porre termine alle controversie, nomino’ come arbitro il proprio Capitano di Fivizzano, Antonio Guidoni che stabili’, con un atto pubblicato l’11 Agosto dell’anno 1559, che il feudo di Castel dell’Aquila fosse smembrato e suddiviso in tre parti identificate da: Gragnola, Cortila e Viano. Con elezione a sorte pose come reggenti: Giovan-Battista (figlio di Corrado di Galeotto) di Cortila, Leone (figlio di Giovanni) di Gragnola e Iacopo di Viano, a ciascuno dei quali toccarono una porzione del Castello dell’Aquila.
Da questo momento in poi, in altre vicissitudini incorsero i vari Domini di Gragnola e Castel dell’Aquila; il feudo dopo la tripartizione, sara’ anche ricostituito come unitario (anche se assoggettato a Fosdinovo), ma gradualmente perdera’ importanza e con esso il peso politico dei Malaspina gradualmente degradera’ fino a renderli semplici signorotti locali.
Il Rinascimento, che in Italia ed in Europa ha rappresentato il periodo del grade sviluppo delle scienze, delle arti e dell’economia, vide al contrario in Lunigiana e, soprattutto per il feudo del Castello dell’Aquila per Gragnola, e la quasi totalita’ dei paesi e Borghi della zona la perdita della loro centralita’ e del loro potere economico a favore di altri centri che avranno modo di svilupparsi e trasformarsi in citta’, attirando oltre agli interessi economici, gli abitanti stessi delle valli e dei borghi che andarono gradatamente a spopolarsi trasformandosi in semplici periferie.
La storia di Gragnola e del Castel dell’Aquila non termina comunque tra il 1500 ed il 1600, ma a cavallo di questi due secoli, vedra’ concluso un ciclo che fino ad allora aveva visto un graduale ma costante sviluppo. Tale sviluppo purtroppo non ha piu’ trovato fino ad oggi le condizioni per ripetersi, ma se oggi verra’ dato il giusto rilievo a questo nostro grandissimo patrimonio storico e culturale, che la nostra terra ci offre, potremo porre le basi per svilupparne il futuro puntando proprio sul suo passato.
Giovanni Junior POLESCHI
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